A San Lorenzo spesso si incrociano amore e morte. Non fosse altro per la presenza del vicino cimitero del Verano e per la Chiesa intitolata a Maria Immacolata dove si celebrano sempre più numerosi matrimoni.
Vi proponiamo allora una storia che dia l’idea di come San Lorenzo sia un ricettacolo di storie di vita che veicolano emozioni e sentimenti a volte molto stridenti e confusivi, dove essere insieme vuol dire essere lontani, dove ritrovarsi intorno ad un buon bicchiere vuol dire celebrare l’assenza, dove confondersi per ritrovare tracce del proprio passato.
Alla domenica Tersilio (che nel frattempo aveva lasciato San Lorenzo per trasferirsi a Centocelle con la sua nuova famiglia), Maria, le gemelle ed Emanuele si recavano a far visita alla tomba di Teresa. A quel tempo al Verano si arrivava a piedi da Piazzale Tibutino, passando prima sotto il ponte che divide San Lorenzo dall’Esquilino e dalla Stazione Termini dove faceva (e fa tutt’oggi) capolinea il trenino proveniente dalla periferia sud-orientale della Capitale. Tersilio aveva voluto che la sua Teresa riposasse all’ombra di un bel pino che filtrasse i raggi del sole nelle giornate afose d’estate e che la proteggesse dal vento algido dell’inverno. Tersilio aveva odiato il Regime non solo perché era comunista (anche se un po’ distratto) ma anche per le vicissitudini a cui lo aveva costretto negli anni della Guerra. Così, quando aveva sposato la sua prima moglie, aveva cominciato a frequentare il circolo socialista di Via dei Sardi. Vi trascorreva molto tempo anche perché lì poteva imparare a leggere con l’aiuto delle lezioni impartite dalla nascente televisione italiana. Lì poteva discutere con i suoi colleghi e non della salubrità delle condizioni di lavoro, degli orari impossibili, dei turni infiniti e massacranti, delle iniziative da prendere per rivendicare i propri diritti. Che lui trascorresse tutto quel tempo lontano dalla famiglia, a Teresa non andava giù ma Tersilio le teneva testa e le regalava un mazzetto di ginestre che raccoglieva dalle parti di via dei Campani e in mezzo al quale metteva un’immaginetta di Filippo Turati. Teresa rideva sempre e finivano col fare all’amore ma senza mai aver prima accompagnato la prole all’oratorio dei vicini che Teresa curava per conto dei vicini, carrettieri di professione. Tersilio continuò per tutta la vita a portare ginestre a Teresa ma diceva di aver tolto l’effige dell’illustre politico milanese perché Teresa si sarebbe arrabbiata e non avrebbero potuto fare la pace.
Dopo aver deposto sulla tomba di Teresa i fiori e recitato una breve preghiera, la famiglia si avviava sulla strada del ritorno passando per via Tiburtina dove le “osterie del pianto” attendevano Tersilio e i suoi congiunti. ”un quartino e due supplì!” intonava il triste avventore: i primi due manicaretti finivano immancabilmente tra le fauci di Emanuele e il vino nella gola di Tersilio. Ma le tre donne non sarebbero rimaste digiune per molto, né si affrettavano ad anticipare il piccolo nell’accaparrarsi i supplì. Sapevano che, di lì a poco, ne sarebbero arrivati degli altri insieme ovviamente a dell’altro vino. Intorno a quei tavoli Tersilio si scioglieva raccontando alla propria famiglia e a quelle degli amici del circolo da cui passava per un saluto e per darsi appuntamento alla prossima riunione di come era stato catturato, della fatica del lavoro nei campi, del giorno felice della liberazione e della commozione nel rivedere Roma.
Tersilio era stato durante la guerra era stato colpito da una scheggia di granata. Fortunatamente ebbe solo l’elmetto ammaccato ma da quel giorno, di tanto in tanto, aveva qualche problema di memoria: una domenica andò in visita a Teresa da solo ma seppe mai dire come si ritrovò nel sacrario militare. Li riconobbe alcuni suoi commilitoni e quel giorno brindò a loro insieme ai suoi compagni del Circolo mentre ne narrava le gesta e n’esaltava le virtù.
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