Incontro alla Casa della Partecipazione.

Proseguono gli incontri per la raccolta di foto, storie e la costruzione di miti sul quartiere e la creazione di cartoline.

26 febbraio 2011

Tra realtà e fantasia, i bar di San Lorenzo. Il solito (un bicchiere di acqua). Teraza puntata.

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Provo a descrivere con parola un'esperienza che ho fatto, in cui parole ce ne erano poche, tranne che nella mia testa.
C'è un posto in cui vado spesso, è la palestra di san Lorenzo. Quando posso vado un po' prima dell'inizio dell'allenamento, il tempo di un caffé in compagnia o un semplice e veramente dissetante bicchiere d'acqua. Il bar si trova proprio dietro l'angolo. Spesso ci andavo anche dopo l'allenamento, sempre per un bicchiere d'acqua che bevevo con voracità, seguito dalla tipica espressione vocale di sollievo che testimonia l' avvenuta operazione di dissetamento (ahhh!!!) con annesso sorriso di ringraziamento. Dopo qualche tempo in cui ci andavo abitualmente due giorni a settimana avevo l'impressione che il barista avesse qualcosa da comunicarmi, aveva un'espressione strana. Ora: io non sono di Roma, abito in campagna e vado sempre in bar differenti, perciò cos'era "il solito" e la sua pratica non la conoscevo. Inizialmente avevo pensato ad una accesa simpatia, perciò stavo progettando un modo per rispondere adeguatamente, mi era venuto in mente di chiedere "un bicchiere d'acqua, per favore" ogni giorno in una lingua diversa, tanto per fare la simpatica e spezzare la routine... poi non l'ho più fatto, ma l'espressione del signore barista si faceva sempre più accesa e certe volte quando gli chiedevo il caffé mi dava anche un bicchiere d'acqua, senza che glielo avessi chiesto e lo faceva con un sorriso che io, non trovando altre motivazioni, fraintesi in senso malizioso.

 Avvenne così che iniziai a sentirmi in difficoltà, tanto che stavo rinunciando al bicchiere d'acqua, tanto – pensavo - c'è una fontanella proprio qua vicino. Oggi, adesso che sto scrivendo e rivivendo tutte queste immagini e scene penso che cretina che sono stata! Per fortuna dopo un po' di tempo, col migliorare del mio stato d'animo, con un po' di determinazione, col cominciare ad aprire gli occhi, ho scoperto cosa si nascondeva dietro quell'espressione che mi rivolgeva, niente di più niente di meno che un solito bicchier d'acqua!

Dopo aver scaricato mi fermo per il terzo caffé e scambio quattro chiacchiere col barista. Ogni volta va così, parliamo per poco più di 5 minuti, non ci siamo mai presentati, ma non serve. Provo a chiedergli qualcosa della rissa in piazza avvenuta la sera prima, ma liquida in fretta l'argomento, si capisce che non gli interessa, almeno non tanto quanto la Sardegna, dove andrà in vacanza tra un mese. Lascio in mancia il resto del caffé e torno al camioncino. Non rivedrò questo bar prima di venerdì. Sono ormai le 9.30 quando arrivo al bar dei belli, il traffico della Tiburtina è una perenne colonna borbottante, ma facendo questo lavoro ho imparato a non sentire più clacson e imprecazioni di tutti quelli che pretendono che il furgoncino piuttosto che accostato sia parcheggiato in parcheggi che di fatto non ci sono mai. Saluto il proprietario, tiro giù il carrellino portacarico e si ricomincia.

1 commento:

  1. racconto fantastico!
    un bel esempio di come si possa far proprio un luogo, o magari come il luogo possa far propria la persona stessa, in una relazione tra le due che si confonde costantemente.
    Ma anche bel esempio di come sia possibile rendere nuovo il quotidiano, anche il banale... il "solito" viene trasformato nello "strano", in "espressione accesa", fino ad arrivare al geniale "malizioso"... non accettare mai bicchieri d'acqua dagli sconosciuti!

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