Incontro alla Casa della Partecipazione.

Proseguono gli incontri per la raccolta di foto, storie e la costruzione di miti sul quartiere e la creazione di cartoline.

18 ottobre 2011

SOLIDARIETA' SOTTO L'OMBRELLONE

Esplorando San Lorenzo, attraversando le sue strade e perdendoci tra i suoi vicoli, ci ritroviamo in via dei Lucani dove, al numero 18, attrae la nostra attenzione un piccolo laboratorio artigiano: è la Fabbrica Ombrelloni di Renato Bellori. Incuriositi, decidiamo di entrare, pronti a scoprire questo angolo del quartiere, pronti alla sorpresa dell'incontro e alle mille strade che ogni pezzo di quartiere può aprire sull'orizzonte della scoperta. 


All'ingresso ci accoglie il figlio del titolare, Carlo Bellori, un vero SanLorenzino, a suo dire, perché ci è nato e cresciuto, lavorando da anni in quella stessa fabbrica. Davanti alle nostre domande sembra interessarsi e pian piano, sulla porta, inizia a raccontarci una storia che ha inizio fin dai primi anni del '900, quando suo nonno venne a San Lorenzo.

Era l'8 Dicembre, la festa dell'Immacolata, per San Lorenzo una ricorrenza molto sentita che ancora oggi è capace raccogliere chi si sente di appartenere in un certo modo al quartiere, con i suoi miti e i suoi riti. In quel giorno di tanti anni fa, suo nonno conosce una ragazza di San Lorenzo, che diventerà sua moglie, decidendo così di stabilirsi nel quartiere ed iniziando qui la sua piccola attività. 

Un'attività, quella di costruire ombrelloni, che è stata tramandata di padre in figlio e che oggi vede i suoi prodotti esportati in tutto il mondo, e pensare che, almeno all'inizio, i clienti erano rappresentati dagli ambulanti che giravano per i mercati e avevano bisogno degli ombrelloni per meglio esporre e proteggere la merce. Di lì in poi l'attività è cresciuta, tramandata a suo padre, spostandosi in Via dei Lucani, e poi a lui che oggi lavora con il figlio, proiettando ancora negli anni avvenire la stessa attività, rigorosamente artigianale, che ha saputo rinnovarsi tramandando le competenze e rinnovando negli anni lo stesso spirito imprenditivo con passione. Il signor Carlo inizia poi a parlarci del quartiere nel quale vive e lavora, inizia a raccontarci una San Lorenzo che manifesta uno spirito solidale, sulla buona e sulla cattiva strada, quella San Lorenzo che lui ha vissuto fin da ragazzo e che tutt'ora vive e attraversa. Ci racconta un quartiere fatto anche di malavita, ma con le sue regole ben precise, perché il SanLorenzino è attentissimo ad ogni cosa che succede nel quartiere, vede tutto e nota ogni cosa: ci racconta che quando veniva a trovarlo un amico proveniente da un altro quartiere romano, o anche da fuori Roma, uno straniero insomma, era molto probabile che sarebbe stato vittima di un furto di qualche genere, allora lui, all'arrivo dell'estraneo, suo amico, sapeva che doveva prima farsi un giro nel quartiere in compagnia dell'amico sconosciuto ai più, in modo che tutti vedessero che era un estraneo che veniva a San Lorenzo per un motivo preciso, veniva a trovare un amico, era un amico di un SanLorenzino, allora l'immunità era sancita. In caso contrario, l'avventore non l'avrebbe passata liscia, magari ritrovando la sua macchina intatta, ma senza le ruote. San Lorenzo era questa, non più di 40 anni fa. Allo stesso modo, con una retorica che andava sempre più ammorbidendosi, ci racconta anche di un quartiere solidale, in senso positivo e conviviale, dove la fiducia tra gli abitanti è una garanzia. Questo aspetto di San Lorenzo, ci dice, è oggi vivo più che mai: come esempio ci racconta che c'è, oggi come ieri, un abitudine condivisa tra una parte di SanLorenzini, che consente di avere credito da una serie di attività del quartiere e poter pagare la somma accumulata di tanto in tanto. Quest'abitudine non è condivisa dalla totalità del quartiere, ma solo da parte di alcune attività, che sembrano comunque molte. Ci restituisce in questo senso un'immagine di San Lorenzo come quartiere solidale, oggi come ieri.

Nella totalità il signor Carlo ci parla di un quartiere fatto di persone, di modi di vivere e di relazionarsi che traspaiono semplicità e soprattutto una fiducia nell'altro non scontatamente regalata, ma attentamente custodita e scambiata, a tempo debito; una San Lorenzo che accoglie con regole precise ed evidenti a chi le conosce e allo stesso modo esclude.

Dopo una lunga conversazione iniziale, il signor Carlo ci invita ad entrare nella bottega, ritornando ad illustrarci il suo lavoro rigorosamente artigianale e mostrandoci, mentre ne parla, il valore affettivo che per lui riveste quel luogo e con quanta passione e dedizione svolge il suo lavoro.



Entrare in quel laboratorio è come fare un salto indietro nel tempo, in quelle pareti una storia custodita con cura che, tramite le mille foto incorniciate, parla orgogliosamente della storia di una famiglia, di più famiglie, di una romanità quasi ostentata; quel luogo parla di vite vissute e a tratti immortalate con uno scatto, che riescono a trasmettere qualcosa di diverso a chi riesce ad incuriosirsi, qualcosa che parla di San Lorenzo.
   

08 aprile 2011

Niente Flash!




Stamattina a Roma c'è il sole. Anche a San Lorenzo c'è il sole. Il cortile della Facoltà di Psicologia è pieno di studenti in canottiera.
“Ci facciamo un giro?”. E' difficile lavorare di immaginazione stando fermi. Usciamo dalla Facoltà, dall'entrata laterale, quella che dà sull'Esercito della Salvezza. “Solo i secchioni passano da quella principale!” mi prende in giro Nicola. Sorrido. Attraversiamo la piazzetta che di giorno a quest'ora è piena di studenti seduti ai tavoli dei bar e di signore appesantite da buste gravide di verdure del mercato di largo degli Osci. Da via degli Umbri sbuchiamo sulla Tiburtina, all'angolo col camioncino del fioraio che stamattina ha messo in prima fila iris e tulipani.
Cerchiamo ballatoi. Quelle balconate strette che connettono vari appartamenti di un palazzo, tipiche dell'edilizia sociale della rivoluzione industriale. In Italia ce ne sono pochi, meno ancora a Roma. San Lorenzo invece ne ha diversi.
Al numero 180 c'è palazzo Lamperini. 'Anno 1888' riporta lo stemma sul portone. Era un palazzo per operai. Quelli delle fabbriche di birra e ghiaccio. Quelle con cui San Lorenzo riforniva Roma novella capitale.
Entriamo. Sulla destra una scala ripida col corrimano in ferro battuto e le pareti con l'intonaco scrostato, nero e bianco. A sinistra una piccola porta con su scritto “Portiere”. Ci affacciamo. C'è un signore occhialuto che, per leggere, si avvicina tanto al giornale che sembra immergervi la faccia. “Scusi...”. “Dica...”. Ci presentiamo come studenti della Facoltà di Psicologia; gli chiediamo se sia possibile fotografare i ballatoi. L'idea che abbiamo è quella di recuperare frammenti del passato del quartiere ma anche quella di capire cosa il quartiere stesso se ne faccia. “E mica se p'ò! C'è da parla' co' l'amministratore! Ve mettete d'accordo co' lui, pagate e fate 'e foto! 'na vorta a due che so' entrati e hanno fatto 'e foto j'hanno tirato i vasi dai piani arti!”.
Ci racconta che quel cortile e quei ballatoi hanno ospitato film e fiction sin dagli anni '50, “mesà che c'hanno girato pure 'I soliti ingnoti' !”. Ci racconta che sta nel palazzo da quando aveva 13 anni, da dieci fa il portiere. Sembra andarne fiero. Sembra che in questo palazzo essere portiere significhi custodire, far da guida, comunicare divieti agli estranei, creando desiderio in chi, incuriosito, gli chiede qualcosa. “Allora arrivederci e grazie!” diciamo riprendendo l'uscita. “...pe' fa le foto tocca parla' co' l'amministratore” incalza di nuovo il portiere seguendoci fuori dal portone.
Continuiamo ad avere la sensazione che ci voglia raccontare quel bello che San Lorenzo possiede, che San Lorenzo vuole far desiderare. Una sorta di nuova rovina che faccia da contraltare a quelle ben più note di cui Roma è tempestata. E sembra anche che non siamo gli unici a desiderare. Il portiere ci segue, fa di tutto perchè la conversazione prosegua, ha voglia di raccontare, di mostrare, di svolgere a pieno la sua funzione di custode di un tesoro, una sorta di sagrestano che fa di tutto per far conoscere il suo potere di porre limiti e organizzare eccezioni. Continuando a dirci che non possiamo stare lì per questione di “privasi” ci invita di nuovo ad entrare. “Vedete qui er palazzo è vecchio, all'urtimo teremoto me tremava 'a sedia e a Cinzia j'è crollato l'intonaco! Comunque io er sabato chiudo a mezzogiorno, poi nun ce sto...nessuno ve vedrebbe a fa le foto...ma senza flash che se rovina er ballatoio! Venite co' me che ve faccio vede' i lavatoi”.
Nel cortile interno c'è una piccola porta. Due scalini e siamo nei lavatoi condominiali dove, fino agli anni '60, gli inquilini del palazzo facevano il bucato. Le vasche bianche di pietra povera, un marmo poroso, un posto fresco e buio, illuminato solo da una finestrella al centro del soffitto; poco più in là una porta. “E lì che c'è?”. “ 'A stanza pe' 'e riunioni condominiali”. Accende la luce della stanza; un ex magazzino con circa venti sedie, tutte diverse, di quelle delle cucine di una volta, con la seduta in vimini o di formica marrone, un mobiletto di legno grezzo ed uno stereo. “Qua se litiga! Ormai ce stanno pochi anziani e so' quelli dei piani arti che tirano li vasi. Poi ce stanno li studenti che a maggio se ne tornano ar paese e qua se svota, c'è troppo silenzio!”.
Ancora oggi gli spazi comuni sembra che ospitino gli scambi tra condomini. Si litiga. I giovani studenti fanno tardi la sera, gli anziani vanno a letto presto. Quando gli studenti fanno rumore le signore usano le scope per battere il soffitto, per disturbare i disturbatori del piano superiore e far smettere la “caciara”. Ma quando gli studenti partono, quando gli anziani restano da soli e arriva il tanto agognato silenzio, si torna a desiderare settembre, quando gli studenti torneranno o ne arriveranno di nuovi, pronti a portare quella confortevole “caciara” che dà tanto fastidio.
Uscendo dai lavatoi guardiamo in alto. Numerosi fili collegano ciascuna finestra a quella di fronte, come fossero connessioni complementari a quelle che i ballatoi creano tra appartamenti attigui. Sui fili panni stesi. Canottiere di lana ingiallita , quelle di chi, per età, trova che aprile sia presto per scoprirsi, stanno vicine alle lenzuola colorate di Ikea, ormai tipica biancheria a basso costo per 'fuori sede'.
Sorridiamo pensando a come, in fin dei conti, ci siano modi con cui le convivenze tra giovani e anziani, tra passato e futuro si mettano in scena attraverso piccole cose.


16 marzo 2011

17 Marzo con l'A.N.P.I.

Domani 17 Marzo parteciperemo al "Ricordo di Goffredo Mameli" per i 150 anni della Repubblica Italiana.


CARTOLINE DALLA GALASSIA SAN LORENZO

Da Pianeta san Lorenzo
(pianeta piazzale Tiburtina)

San Lorenzo, da sempre luogo di incontro di persone in cui diversi modi di vivere si incontrano, ognuno con un diverso punto di vista del territorio. Il nome stesso delle strade, vie nominate con i diversi popoli conquistati dagli antichi romani, ci parla di come Roma sia una città che ingloba nel suo continuo ampliarsi.
La anime del quartiere sono tante ed a volte contrapposte, come anziani e giovani, chi produce e chi consuma, chi costruisce e chi distrugge. Volendo complessificare possiamo dire che le diverse ondate di immigrazione del quartiere sono state ognuna portatrice di caratteristiche peculiari. Negli anni '70 sono arrivati gli artisti nel pastificio Cerere, così come nei primi anni del '900 sono arrivati in moltissimi dalla provincia di Roma e dal sud Italia per diventare operai nelle numerose fabbriche del quartiere. Nel dopo guerra in molti sono andati via dal quartiere, così come negli anni '90 è stata la volta degli studenti.
Ma se tutto ciò è noto a tutti ed è assodato che a san Lorenzo ci sono varie anime che convivono, diverso è dire che queste “subculture” difficilmente hanno strumenti per capirsi e comunicare tra loro, perse come sono ognuna nei propri simboli e nel proprio linguaggio (o slang per i più giovani).
Gli abitanti di questi diversi pianeti si riconoscono tra loro come abitanti dello stesso sistema solare? Si ignorano? Si odiano? Si disprezzano? Si conoscono?

Noi facciamo l'ipotesi che sono legati tra di loro da simbolizzazioni del contesto simili, quindi compatibili, ma diversissime allo stesso tempo.
Questo sito è perciò proposto come uno strumento per raccontare queste realtà del quartiere, permettendo così alle diverse parti di conoscersi e perché no divertirsi a scoprire che diverse appartenenze sono simultaneamente contenute nel quartiere, cioè entro il perimetro composto dalla stazione Termini, lo scalo merci, la città universitaria e mura aureliane. Questa è la ricchezza del quartiere: la possibilità che tante diversità coesistano quasi biologicamente, come se stessimo parlando di un universo biologico tutto da esplorare.

Rappresentare le storie di questi diversi gruppi, con foto, racconti, disegni, o perché no suoni, il tutto organizzato in cartoline è la proposta che facciamo agli abitanti del quartiere interessati a gettare uno sguardo divergente sul territorio che quotidianamente osserva.
Le cartoline che rci immaginiamo rappresentano il quartiere, anche in modo divertente, in modo che possano essere scambiate, regalate, spedite, collezionate, usate come post-it, come sotto bicchiere, o come si preferisce in modo che tutti (o quasi tutti) le conoscano o le possiedano.
Il tutto è una cosa che ci diverte abbastanza...

Presto in arrivo la cartolina numero ZERO, o alfa se preferite, la pietra miliare del percorso che pensiamo.

Da Pianeta san Lorenzo
(pianeta porta tiburtina)

Da Pianeta san Lorenzo
(pianeta via tiburtina antica)

28 febbraio 2011

Un salto nel medioevo, prima di San Lorenzo.




Tra le opere architettoniche presenti a San Lorenzo, ancora poco note a causa della mancanza di adeguate politiche di valorizzazione, c’è l’importantissima Porta Tiburtina (o S. Lorenzo) di cui abbiamo già accennato in un altro POST. La rilevanza di questa porta oltre che architettonica è storica: la nostra porta è stata protagonista di decisivi momenti della lunga e affascinante storia della città di Roma.
Nel 403 d.C. l’imperatore Onorio la fornì di un complesso difensivo con una camera di manovra, su cui si affacciano cinque finestre, e con il fronte spalleggiato da due torri rotonde. Nella porta sono ancora evidenti i resti della traccia per la saracinesca, i battenti, le imposte e una iscrizione moderna in marmo dalla parte della città "Bagiando la / S. Croce ci e / cento giorni / d'indulgenza".
Papa Adriano I, nell'ambito della vasta campagna di restauro delle Mura Aureliane da lui promossa, fece costruire un percorso porticato da Porta Tiburtina fino al piccolo borgo sorto intorno alla basilica di S. Lorenzo, che nell'XI secolo verrà fortificato e prenderà il nome di Laurentiopolis. In epoca medioevale la porta era detta Porta S. Lorenzo dall'usanza di denominare le porte dalla basilica alla quale conducevano: l'appellativo è sopravvissuto dando il nome alla strada e all'attuale attraversamento tagliato nelle mura aureliane.
Come dicevamo la porta S. Lorenzo fu luogo di avvenimenti molto importanti come l’assedio del 1084 da parte di Roberto il Guiscardo il quale si presentò improvvisamente con 1.300 uomini ad portam quae sancti Laurentii dicitur, sub aquaeductu juxta Tiberim e grazie alla minore sorveglianza e alla Porta Flaminia aperta, fece irrompere i suoi Normanni in città e liberò Gregorio VII da Castel Sant'Angelo.
Nel 1347, Cola di Rienzo toccò qui l'apogeo della sua potenza, sconfiggendo la superbia della nobiltà romana rappresentata dalla famiglia Colonna. Caddero, infatti, nel fango delle vigne addossate alle mura Giovanni Colonna, suo padre Stefano, Pietro Colonna e Pietro barone di Belvedere, cugino dei Colonna. Giordano Orsini ed il conte di Fondi feriti fuggirono verso Marino, altri scapparono a Palestrina.
Sempre qui nel 1407 i soldati del re Ladislao di Napoli entrarono a Roma per murum fractum inter portam della Donna et portam Sancti Laurentii extra muros costringendo Gregorio XII a mettersi in salvo a Castel Sant'Angelo e qui, un anno dopo, Paolo Orsini guidò le sue truppe versus Terminem et portam Sancti Laurentii extra muros et ibi ante dictam portam fuit magna rissa.
E il 13 gennaio del 1410 alcuni partigiani del re si asserragliarono nella porta e furono attaccati proprio da Paolo Orsini che, schierandosi dalla parte del Popolo romano, li fece attaccare con 3 bombarde e dopo tre giorni di cannoneggiamento questi si arresero.
Questi sono solo degli esempi delle molteplici “avventure” che hanno coinvolto Porta Tiburtina essendo un importante luogo di attacco e di fuga per e dalla città di Roma.
Per approfondire la storia delle vicende che hanno visto come protagonista la “nostra porta” vi suggerisco di navigare verso il sito http://www.medioevo.roma.it/index.htm

26 febbraio 2011

Tra realtà e fantasia, i bar di San Lorenzo. Il solito (un bicchiere di acqua). Teraza puntata.

PER LE ALTRE STORIE SUI BAR CLICKA QUI!

Provo a descrivere con parola un'esperienza che ho fatto, in cui parole ce ne erano poche, tranne che nella mia testa.
C'è un posto in cui vado spesso, è la palestra di san Lorenzo. Quando posso vado un po' prima dell'inizio dell'allenamento, il tempo di un caffé in compagnia o un semplice e veramente dissetante bicchiere d'acqua. Il bar si trova proprio dietro l'angolo. Spesso ci andavo anche dopo l'allenamento, sempre per un bicchiere d'acqua che bevevo con voracità, seguito dalla tipica espressione vocale di sollievo che testimonia l' avvenuta operazione di dissetamento (ahhh!!!) con annesso sorriso di ringraziamento. Dopo qualche tempo in cui ci andavo abitualmente due giorni a settimana avevo l'impressione che il barista avesse qualcosa da comunicarmi, aveva un'espressione strana. Ora: io non sono di Roma, abito in campagna e vado sempre in bar differenti, perciò cos'era "il solito" e la sua pratica non la conoscevo. Inizialmente avevo pensato ad una accesa simpatia, perciò stavo progettando un modo per rispondere adeguatamente, mi era venuto in mente di chiedere "un bicchiere d'acqua, per favore" ogni giorno in una lingua diversa, tanto per fare la simpatica e spezzare la routine... poi non l'ho più fatto, ma l'espressione del signore barista si faceva sempre più accesa e certe volte quando gli chiedevo il caffé mi dava anche un bicchiere d'acqua, senza che glielo avessi chiesto e lo faceva con un sorriso che io, non trovando altre motivazioni, fraintesi in senso malizioso.

24 febbraio 2011

La storia di Tersilio, tra amore e morte.


A San Lorenzo spesso si incrociano amore e morte. Non fosse altro per la presenza del vicino cimitero del Verano e per la Chiesa intitolata a Maria Immacolata dove si celebrano sempre più numerosi matrimoni.
Vi proponiamo allora una storia che dia l’idea di come San Lorenzo sia un ricettacolo di storie di vita che veicolano emozioni e sentimenti a volte molto stridenti e confusivi, dove essere insieme vuol dire essere lontani, dove ritrovarsi intorno ad un buon bicchiere vuol dire celebrare l’assenza, dove confondersi per ritrovare tracce del proprio passato.

Tersilio era un “monnezzaro”, oggi si direbbe operatore ecologico, lavorava per l’azienda della nettezza urbana di Roma. Era un reduce della Seconda Guerra Mondiale: aveva combattuto in Grecia e in Africa e, fatto prigioniero dai tedeschi, era stato deportato in Germania per lavorare da bracciante nei campi al servizio di una facoltosa famiglia bavarese di latifondisti fedeli al Reich. Una volta tornato a Roma sposò nella Chiesa dell’Immacolata una sanlorenzina che gli aveva dato due gemelle ma che morì di parto dandole alla luce. Teresa, così si chiamava la moglie di Tersilio, fu devotamente sepolta nel cimitero proprio vicino alla sua San Lorenzo. Pochi anni dopo si sposò con una campana, Maria. Da questa unione nacque il figlio maschio che Tersilio tanto desiderava cui diede il nome Emanuele.

22 febbraio 2011

21 febbraio 2011

Cucinare ed elaborare, un modo per creare simboli.

San Lorenzo è sorto come crocevia di flussi migratori provenienti da tutta Italia che ha portato con se la propria cultura, generando un interessante connubio. Il quartiere così come lo conosciamo oggi è figlio di questo incontro di popoli, non a caso le vie del quartiere prendono oggi il nome dei popoli che “Roma” ha conquistato. La cultura, fatta anche di tradizione, si riflette nella cucina tipica che ogni regione ha, spesso eretti come simboli del luogo stesso, come le orecchiette pugliesi o i confetti di Sulmona. Il cucinare è un processo che crea “piatti” che sono molto più dalla semplice somma degli ingredienti; ciò è vero sia per la cucina che per i processi sociali, che si nutrono della tradizione, ma spesso la innovano.
Perciò vi propongo tre ricette trascritte integralmente di Pellegrino Artusi utilizzando i capperi. Il suo italiano è arcaico e colorito, perché di un'epoca passata, ma le sue ricette sono “sempre verdi” così come tutta la cultura legata alla cucina.
Potrebbero diventare delle ricette simbolo di san Lorenzo? Chissà, di sicuro ci si può divertire a pensarla come un cosa possibile, oltre al fatto che la cucina fa sempre il piacere sia di chi prepara i piatti che dei "commensali"che potranno godere del cibo e della convivialità che il suo consumo crea.

“Capperi sotto aceto, grammi 50.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Uva passolina, grammi 30.
Pinoli, grammi 20.
Candito, grammi 20.
I capperi tritateli all'ingrosso, l'uva passolina nettatela dai gambi e lavatela bene, i pinoli tagliateli per traverso in tre parti, il prosciutto foggiatelo a piccolissimi dadi e il candito riducetelo a pezzettini. Mettete al fuoco, in una piccola cazzaruola, un cucchiaino colmo di farina e due del detto zucchero e quando questa miscela avrà preso il color marrone, versate nella medesima mezzo bicchier d'acqua mista a pochissimo aceto. Quando avrà bollito tanto che i grumi siensi sciolti, gettate nella cazzaruola tutti gli ingredienti in una volta e fateli bollire per dieci minuti, assaggiandoli nel frattempo, per sentire se il sapore dolce e forte sta bene; non v'ho precisato la quantità di aceto necessaria, perché tutte le qualità di aceto non hanno la stessa forza. Quando il composto è ancora caldo distendetelo sopra fettine di pane fritte in olio buono o semplicemente arrostite appena. Potete servire questi crostini diacci anche a metà del pranzo, per eccitare l'appetito dei vostri commensali. Il miglior pane per questi crostini è quello in forma all'uso inglese.”

“Questa salsa, alquanto ribelle agli stomachi deboli, si usa ordinariamente colla bistecca. Prendete un pizzico di capperi indolciti, spremeteli dall'aceto e tritateli colla lunetta insieme con un'acciuga che avrete prima nettata dalle scaglie e dalla spina. Mettete questo battuto a scaldare al fuoco con dell'olio, e versatelo sulla bistecca che appena levata dalla gratella, avrete condita con sale e pepe ed unta col burro; in questo caso, però, ungetela poco, perché altrimenti il burro farebbe, nello stomaco, a' pugni coll'aceto dei capperi.”

“Burro, grammi 50.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 50.
Farina, un cucchiaino colmo.
Sale, pepe e aceto.
Questa dose basta per un pesce di circa grammi 500. Il burro come sostanza grassa, è già per sé stesso un condimento non confacente a tutti gli stomachi, specialmente quando è soffritto; quando poi si unisce agli acidi, come in questo e in altri casi consimili, si rende spesso ribelle agli stomachi che non sieno a tutta prova.
Cuocete il pesce e, mentre lo lasciate in caldo nel suo brodo, preparate la salsa. Ponete al fuoco la farina colla metà del burro, mescolate, e quando comincia a prender colore aggiungete il burro rimasto.
Lasciate bollire un poco e poi versate un ramaiuolo di brodo del pesce; condite abbondantemente con sale e pepe e ritirate la cazzaruola dal fuoco. Gettateci allora i capperi metà interi e metà tritati, più un gocciolo d'aceto; ma assaggiate per dosare la salsa in modo che riesca di buon gusto e della densità di una crema liquida.
Collocate il pesce asciutto e caldo entro a un vassoio, versategli sopra la salsa, calda anch'essa, contornatelo di prezzemolo intero e servitelo.”

20 febbraio 2011

Scorci d'inverno sanlorenzino.

Scheletri alberi e spenti lumi,
sentinelle solitarie di aureliane mura, torri e capperi rinsecchiti:
di sferzante tramontana l'inverno sanlorenzino scruta il passaggio, dai monti Tiburtini al Camposanto.









Tra realtà e fantasia, i bar di San Lorenzo. Beat Generation. Seconda puntata.

Per leggere la prima parte del racconto fai click sul link San Lorenzo al Bar. Prima parte.


“Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia confusione.”
On the Road, Jack Kerouac

C’è un ragazzo con un cappellino di paglia in testa seduto di fronte a me che mi ricorda Jack Kerouac. Cerco di non fissarlo, mi guardo un po’ intorno, prendo da bere, ma inevitabilmente torno a guardarlo. Mi sembra che lui sia la chiave per capire il bar in cui sono seduta, mi fa intuire quello che voglio scrivere: sono al bar Celestino al 62 di via degli Ausoni e qui faccio un’esperienza beat.
Beat è il ritmo incessante e incalzante delle chiacchiere tra i frequentatori del bar, beat è la mescolanza di lingue, nazionalità ed età che si incontrano, beat è la rozzezza degli stuzzichini che servono insieme alla bibita, beat è il sedersi con la pelle nuda delle gambe scoperte direttamente sulla strada perché le sedie del bar Celestino devono rispettare delle regole e non essere più di 20, ma i clienti del bar celestino sono sempre molti di più e non badano alle regole.
Nonostante questo quartiere sia pieno di locali molto più accoglienti nessuno dei ragazzi che è qui e mi circonda cambierebbe bar. Qui tutti sono incuranti di quello che succede intorno a loro, non riesco ad accorgersi di una vecchietta che deve fare delle manovre scomodissime per passare con il suo carrello perché sono tutti molto impegnati a disimpegnarsi: vengono qui per dedicare finalmente un po’ della loro giornata a quello che amano di più: parlare con altri di ciò che desiderano e vorrebbero fare, di ciò che leggono, di ciò che hanno pensato;
ma i clienti del bar celestino sono sempre Ci provano a realizzare le loro idee, ma pochi si affermano nella società “lenta”. Il beat (nel senso di ritmo) di questi ragazzi è per i più inascoltabile: le loro idee sono contorte, inesperte e inusuali, spesso risultano fastidiose. Una cosa che mi colpisce molto è che il bar dentro ha molto spazio per sedersi eppure è vuoto, in effetti anch’io ho scelto di sedermi fuori la strada per quanto stretta e affollata è molto più affascinante: dentro sembra ci si siedano le persone in cerca di riservatezza, gli altri che al contrario cercano il confronto, l’incontro con altre persone conosciute o no preferiscono la strada. In strada ci si può fermare a bere e salutare qualcuno senza nemmeno scendere dalla bici, basta che questo qualcuno abbia già una birra in mano.
Appena mi alzo dalla sedia e faccio per andarmene prendono il mio posto, quasi non ho ancora ripreso la borsa, ma non mi infastidisce capisco la fretta una sedia è una sedia. Cammino sulla strada a passo lento e penso che in posti così i giovani si prendano la loro gioventù che non riescono a portare nelle cose ordinarie come lo studio o il lavoro. Nel lavorare sono attenti alle regole e alle richieste dei superiori e non pensano di poter cambiare nulla, poi al bar si immergono in fantasie e riflessioni che spesso non “producono” nulla per questo sono mal viste. Mentre penso alla strada scopro un atelier, immagino si tratti di qualche comune studio fotografico o laboratorio per pittori, invece scopro con mio grande interesse che è il luogo in cui alcuni writers (piuttosto famosi) preparano i loro murales. Questo è molto beat. Per produrre la forma d’arte più discussa e odiata del momento studiano, non sfregiano a caso nel buio della notte un posto qualunque per far dispetto alle autorità, loro pensano la loro opera, scelgono il posto e la preparano affinché appunto non sia un danno, ma abbia un senso.

Mancano pochi minuti alle 9:00, il primo bar da servire è il bar che fa angolo con la palestra popolare di San Lorenzo, che un nome ce lo avrà pure, ma tutti lo conoscono come il bar affianco a Pomidoro, dove andava a mangiare Pasolini. Qui il carico è modesto, adatto a un piccolo bar. Il tratto di strada è breve ma il quartiere è già in piena attività: Gli studenti si confondo tra i residenti che vanno al mercatino, le pizzerie al taglio hanno la saracinesca mezza aperta e da dentro proviene un forte odore di detersivo per pavimenti. Poster di concerti si sovrappongono ad altri manifesti, in una stratificazione senza origini. Ogni tanto saluto qualcuno con un colpo di clacson, e quasi mi sembra di essere tornato al paese. Accosto all'angolo, apro gli sportelli e inizio a scaricare.
...CONTINUA...

19 febbraio 2011

Tra realtà e fantasia, i bar di San Lorenzo. Prima puntata.


La mia mano cerca la sveglia, tastando nel vuoto. Al secondo tentativo la trovo, e dopo averla vigorosamente spenta mi chiedo perché il fastidio deve essere la prima sensazione che ogni mattina mi richiama al mondo. Qualche minuto ancora nel letto, seduto tra le lenzuola sfatte, a fumare la prima sigaretta della giornata, guardando le macchie di luce tra muro e pavimento che filtrano dalle persiane mentre le convulsioni del traffico attraversano i doppivetri. La cucina è un disastro, il tempo di mettere su un caffé tra fornelli lerci per pensare che questa cucina è in ordine tre ore al giorno: da quando torno dal lavoro fino a dopo cena. Sul frigo il post-it mi indica i bar della giornata, ma non ci sono novità, martedì mattina è il giorno di San Lorenzo: Il bar affianco a Pomidoro alle 09:00, e poi gli altri a seguire. Nonostante siano le 8:00 fuori casa l'aria già è tiepida, sulla Casilina c'è la solita coda di lavoratori, che a giudicare dalle dimensioni in costante aumento del traffico, questo paese non sembrerebbe proprio in crisi. Nel giro di poco col mio furgoncino della Heineken mi guadagno il mio posto nel flusso regolare delle macchine. La voce di Milan su radio 24, che pone le sue domande politiche agli ascoltatori, mi rilassa, specie quando i toni si alzano attorno a qualche tema scottante. Ho la sensazione che potrei continuare a tollerare il traffico per ore. Invece sono solo trenta minuti prima di arrivare a San Lorenzo, passando dal caos delle consolari alla vita raccolta di un quartiere vigilato da mura in mattoni e varchi elettronici. Prima di rifornire il primo bar ci scappa il tempo per un secondo caffé al volo, giusto il tempo di fare quattro chiacchiere al bar Celestino.
Se la colazione a casa mi serve più come un attivatore di funzioni vitali, è solo dopo questa tappa che anche il mio umore inizia ad affacciarsi al giorno.
...CONTINUA...
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